storie delle miniere

Il Sulcis Iglesiente vanta la storia millenaria di un territorio nato e sviluppato attorno alle miniere. Una storia che ripone le sue origini addirittura nella preistoria, passando per le antichissime “fosse” minerarie del medioevo pisano, fino alle più recenti Società che certificano un passato minerario impossibile da dimenticare. Tanti studi, racconti, storie e testimonianze hanno tramandato ai giorni nostri l’epopea della lotta dell’uomo per strappare dalle profondità della terra piombo, argento, rame, ferro e barite.

L’uomo giunse per la prima volta nel Sulcis Iglesiente attorno al 6.000 a.C., in epoca prenuragica, con la colonizzazione neolitica dell’isola. In quello stesso periodo, nel Neolitico antico, scoprì nell’arida terra vulcanica del Monte Arci una pietra preziosa, l’ossidiana, che diventò sua grande alleata nella caccia. Dopo averla scheggiata, ne scoprì le diverse modalità di utilizzo per ricavare oggetti da taglio, lame, punte di lancia e raschiatoi delle pelli degli animali cacciati. L’ossidiana sarà anche il primo oggetto di scambio con i mitici Shardana, prima ancora che con i Fenici. Questi ultimi fecero della Sardegna un punto di riferimento per la ricerca di minerali preziosi come il piombo, l’argento e il rame; gli insediamenti fenicio-punici di Monte Sirai, nei pressi di Carbonia, sono un’eloquente testimonianza del movimento commerciale del ricco bacino minerario dell’Iglesiente.

L’ossidiana, vetro di origine vulcanica largamente utilizzato dall’uomo neolitico per produrre utensili di varia natura.

Ossidiana

Dopo la sconfitta e la distruzione di Cartagine furono i Romani ad interessarsi delle miniere sarde, particolarmente attratti dalle ricchezze del sottosuolo presenti nell’Iglesiente. Concentrarono così il loro interesse attorno alla favolosa Metalla, il cuore dell’attività estrattiva, il cui insediamento è ancora oggi di incerta identificazione. Si pensa che si trovasse nei pressi del Tempio di Antas, come sostenuto dalla maggior parte degli esperti. Non era ben augurale se i romani usavano la locuzione “Damnatio ad Metalla” per condannare ai lavori forzati perpetui nelle miniere un gran numero di schiavi o di rei di diversi misfatti. Tra i condannati al duro lavoro vi fu anche papa Ponziano, deportato in Sardegna, dove morì stremato e malnutrito nel 235 d.C. dopo aver abdicato. Fu il primo caso nella storia della Chiesa.

Dopo la caduta dell’Impero romano vi fu un periodo di crisi dell’attività mineraria, che riprese in pieno nel periodo dell’occupazione pisana, soprattutto per merito del Conte Ugolino della Gherardesca che, con la nomina dei Donoratico della Gherardesca di “signori della sesta parte del Cagliaritano” nel 1258, entrò in possesso del “terzo” territorio giudicale. Proprio in questo territorio, nell’alta valle del Cixerri, il Conte Ugolino della Gherardesca fondò Villa di Chiesa – oggi Iglesias – cingendola di mura e rilanciando le attività estrattive argentifere. Queste ultime vennero regolamentate nel Breve di Villa di Chiesa, antico codice di leggi in seguito adottato anche dagli aragonesi che presero possesso di Villa di Chiesa, dopo un lungo assedio, nel 1324. Il Breve di Villa di Chiesa fu ratificato dall’infante Alfonso d’Aragona nel 1327, ma la ratifica si limita a sostituire il nome del re d’Aragona là dove vi era l’intitolazione sovrana di Pisa.

I tornesi, monete in argento fatte coniare da Guelfo della Gherardesca, figlio del Conte Ugolino. Vennero coniate nella neonata zecca di Villa di Chiesa con lo stemma araldico della loro famiglia.

moneta

Nel 1773 la Sardegna passò sotto la dominazione di casa Savoia e il Sulcis vide un nuovo rilancio dell’attività estrattiva che era decaduta durante la dominazione spagnola. Nel XIX secolo, infatti, rinacque l’interesse per l’attività mineraria, stimolata dall’affidamento delle miniere a concessionari privati: la legge mineraria del 1848, già vigente in Piemonte, consentiva allo Stato di dare in concessione lo sfruttamento del sottosuolo, provocando un consistente progresso dello sviluppo industriale delle miniere. Due anni più tardi, nel 1850, nacque la Società di Monteponi, creata da una cordata di imprenditori genovesi intenzionati ad investire nell’attività estrattiva. La società ottenne dal demanio dello Stato la gestione delle miniere di Monteponi per oltre cento anni, fino al 1961, anno in cui avvenne la fusione con la “Montevecchio Società Italiana del Piombo e dello Zinco”. La società venne messa in liquidazione dieci anni più tardi, nel 1971, a causa della progressiva dismissione delle attività estrattive.

Il palazzo “Bellavista”, sede della direzione della Società di Monteponi, costruito nel 1866.
Foto di Sebastiano Piras

palazzo monteponi

Nella seconda metà dell’Ottocento si moltiplicarono i permessi di ricerca e di estrazione, si creò una maestranza numerosa e competente, si perfezionarono gli impianti e l’attrezzatura con i più moderni dettami della tecnica. Videro la luce nuove imprese. In pochi decenni, con l’industria mineraria, la Sardegna riuscì a conquistare un rilievo internazionale ed anche Iglesias, secondo Quintino Sella, ebbe “più reddito di ciò che avesse, lustri fa, di capitale” e soprattutto “nuove case, nuove strade, nuovi quartieri” tanto da non essere più la città di prima.

La popolazione arrivò presto a ventimila abitanti e tutta la città cambiò aspetto, rinnovandosi anche per l’intervento di Quintino Sella, il Ministro delle finanze di casa Savoia. Egli si fece promotore, nel 1871, della Scuola dei Capi Minatori e Capi Officina di Iglesias. Ha così inizio la storia del glorioso Istituto tecnico industriale minerario “Giorgio Asproni”. Come segno di riconoscenza il Comune di Iglesias, nella seduta del 13 dicembre 1871, conferì a Quintino Sella la cittadinanza onoraria e in seguito alla sua morte commissionò un monumento commemorativo che diede il nome alla piazza principale di Iglesias.

La Scuola mineraria di Iglesias, istituita nel 1890, in una foto d’epoca di Sebastiano Piras.

Scuola Mineraria Iglesias

Durante il Ventennio fascista, con la politica autarchica, le miniere ricevettero un nuovo, notevolissimo impulso attraverso il miglioramento delle tecniche estrattive e di lavorazione. Grandi lavori vennero promossi per lo sfruttamento carbonifero del Sulcis, dove l’8 dicembre 1938 Mussolini inaugurò Carbonia, la città del carbone. Tuttavia, il carbone sardo, difficile da estrarsi e di bassa qualità non poté reggere a lungo la concorrenza di quello prodotto da altri Paesi.

La prima fase della costruzione di Carbonia nel 1938. Foto di Sebastiano Piras

costruzione campanile carbonia scaled

Negli ultimi decenni del Novecento, le miniere sarde si chinarono di fronte alla concorrenza spietata del mercato mondiale. Il crollo dei prezzi del piombo e dello zinco sul mercato internazionale, il progressivo impoverimento dei giacimenti, l’immane sforzo finanziario richiesto ed il forte indebitamento determinarono la cessazione, quasi definitiva, di ogni attività mineraria.

L’ultima società attiva nell’estrazione è stata la Carbosulcis, costituita nel 1976 dell’Ente Minerario Sardo e dall’Ente Gestione Attività Minerarie (EGAM), che ebbe in gestione l’ultima miniera carbonifera nel Sulcis e in Italia, quella di Monte Sinni – il monte dei segni, per le presenze archeologiche del periodo nuragico– alle porte di Nuraxi Figus (frazione di Gonnesa). Ma nel 2014 la Comunità Europea si è pronunciata invitando la Regione Autonoma della Sardegna ad un piano di chiusura definitivo, che prevede la fine delle attività produttive entro il 2018 e, contestualmente alle attività di messa in sicurezza e ripristino ambientale da ultimarsi entro il 2027, una serie di attività di ricerca e sperimentazione finalizzate alla riconversione industriale dell’azienda.

montevecchio cernitrici donna in miniera

Di fatto è stata posta la parola fine ad una tradizione millenaria che ha sfamato tante famiglie, fatto sorgere nuovi quartieri e nuove città, dotandole di servizi essenziali come ospedali, asili, scuole e stazioni ferroviarie. Una gloriosa storia che depone grande rispetto sul sudore, le lacrime e i sacrifici di un esercito di minatori, troppo spesso vessati e oppressi, disposti a mettere a rischio la propria vita per un salario minimo. Una storia che racconta la disperazione dei minatori, il timore di non riuscire a tornare a casa e la preoccupazione delle madri, delle mogli e dei figli che fremevano in attesa del suono di quella sirena che annunciava la fine del turno e il rientro a casa dei propri cari.

Ogni cancello di quelle miniere ormai dismesse, appare come una porta d’accesso verso storie di vita vissuta che raccontano di un immenso dolore per i numerosi minatori che hanno perso la vita per le frequenti malattie polmonari come la silicosi, le terribili esplosioni come quella del Pozzo Schisorgiu, nella Miniera di lignite di Sirai nel 1937, o il drammatico eccidio di Buggerru del 4 Settembre 1904, quando l’esercito sparò sulla folla composta da duemila manifestanti, uccidendone tre e ferendone undici. A seguito di questa tragedia, la Camera del Lavoro di Milano proclamò lo sciopero nazionale generale, il primo d’Europa, che si protrasse dal 16 al 21 settembre e al quale aderirono i lavoratori italiani di tutte le categorie. Altro tragico evento fu l’eccidio di Iglesias dell’11 maggio 1920, in cui persero la vita sette minatori che manifestarono in piazza Municipio per rivendicare migliori condizioni di lavoro e salariali. Ad attenderli non c’era la direzione mineraria per la negoziazione di un nuovo contratto di lavoro ma i fucili delle guardie regie.

Al giorno d’oggi, alcuni di questi siti minerari sono stati riqualificati e rappresentano mete ambite dai turisti. Parliamo di Porto Flavia, porto d’imbarco del materiale estratto nell’area mineraria di Masua, o della Galleria Henry, sita nell’altopiano di Planu Sartu (Buggerru), che consentiva il trasporto dei minerali per mezzo di una rotaia dai cantieri sotterranei alle distanti laverie.

Un territorio da visitare unico al mondo, dove nell’acqua cristallina delle coste del Sud Sardegna si specchiano le maestose infrastrutture, reale testimonianza del grande popolo dei minatori.